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Bracco ungherese |
Quando
andai ad abitare per conto mio, la domenica, a rotazione, ero invitato
dalle mie tre zie. Quella domenica sera fu il turno della zia del
quartiere Santa Rita.
Ella
alloggiava in un appartamento al pianterreno di una scuola media; il
marito ne era il custode. Un magnifico giardino, che gli zii curavano
personalmente, accoglieva la parte esposta ad ovest della casa.
Sistemazione ottimale per i quattro figli che, alla chiamata della
campanella nell'ingresso, rispondevano, età permettendo, salendo le
scale per entrare in classe. Sistemazione ideale anche per lei... sì
l'eroina della nostra storia, Diana, una femmina di bracco ungherese.
Ella
(uso di nuovo questo pronome perché, come tutte le donne della mia
vita, s'impegnò a guastarla) fu vinta dai ragazzi ad un concorso indetto
da una radio privata. Non mi poteva digerire, infatti, appena mi vedeva
arrivare, iniziava ad abbaiarmi contro ed io imploravo mia zia che la
tenesse legata al palo accanto alla cuccia. Dopo un quarto d'ora si
chetava, entrava in casa e non mi degnava di uno sguardo.
Ritornando
a quella sera, appena giunsi al cancello, la vidi ed ella mi vide, ma
non abbaiò. Mi accorsi allora che il campanello del citofono non
funzionava. Iniziai a chiamare a gran voce i miei zii, ma niente da
fare, sforzi inutili perché avevano il volume del televisore troppo
alto.
Mi
feci coraggio e la chiamai: "Diana, Diana … perché non mi abbai, figlia
di una cagna!". Fatica sprecata: ella osservava, accucciata a 3 metri
da me, ogni mio vano tentativo, ma non profferiva il benché minimo
ululato.
In quel mentre passarono davanti al cancello due ragazze,
agghindate da serata in discoteca, che rallentarono il passo incuriosite
dalla scena. Ne approfittai per fermarle e chiedere loro di aiutarmi a
chiamare gli zii.
Formavamo
un bel terzetto; le ragazze intercalavano le frasi "zii, zii aprite" a
impertinenti cenni d'intesa e io ero al colmo della vergogna. Dopo un
minuto di inutili e imbarazzanti grida, le ringraziai per la loro
cortese disponibilità e le congedai pensando che avrebbero avuto di che
ridere per buona parte della serata.
Ero
esausto, mi sedetti sul basolato del marciapiedi ed aspettai. Dopo
alcuni minuti mio zio aprì la porta d'ingresso per darle da mangiare.
Quella sera, a cena, fui io a non degnarla di uno sguardo!
Morale: se un cane non ti abbaia, vuol dire che ha manomesso il campanello di casa.